Una procedura che ha molte analogie con il carpione, in uso nelle regioni dell’Italia Settentrionale, e che consiste nel riporre gli alimenti, dopo una cottura rapida, quasi sempre frittura, in un recipiente che contiene aceto ed aromi. Tipico per esempio dell’area di Napoli gli zucchini in scapece, che si realizzano friggendo gli ortaggi a tocchi ed immergendoli immediatamente in aceto e foglie di menta. Un piatto ideale da gustarsi soprattutto durante l’estate, per la freschezza dell’aroma sprigionato dalla menta, e che si può anche realizzare apportando una gustosa ed elegante variante aggiungendo, invece che quello normale, l’aceto balsamico.
Altrettanto noto tra gli estimatori lo scapece gallipolino, per il quale si mantengono in marinatura pesci piccoli come boghe, sarde o alici in un impasto costituito da aceto, mollica di pane e zafferano.
L’origine della parola scapece è molto dibattuta, alcuni la vogliono far risalire ad un antica preparazione dei cibi in voga tra le popolazioni liguri e piemontesi, e diffusasi poi nel resto del paese, altri intravedono in tutte le preparazioni che implicano la marinatura nell’aceto l’influenza di culture culinarie d’oltre mare, mediorientali ed arabe (più evidente ciò nel saor veneziano, dove ad aromatizzare l’aceto contribuiscono pinoli ed uvetta passa, che rendono il piatto leggermente agrodolce).
Tale procedura sarebbe giunta in Europa attraverso la Spagna, paese in cui le contaminazioni tra la cucina araba e quella europea sono state da sempre molto forti.
Altri ancora fanno addirittura risalire tale pratica addirittura ai romani, come testimoniato in alcuni testi di Apicio, il più antico scrittore di ricette gastronomiche in lingua latina.
Sicuramente la marinatura nell’aceto era di primaria importanza in un epoca in cui erano scarse o nulle altre procedure per mantenere commestibili e conservare i cibi il più a lungo possibile.