Vini rossi e bianchi: caratteristiche comuni e principali differenze

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Parte integrante della cultura italiana da secoli, il vino nella nostra penisola ha acquisito importanza sin dall’epoca Romana, e la cura e la dedizione che il nostro popolo ha messo nella sua produzione ha fatto sì che venga considerato una delle eccellenze del Belpaese. Consumato durante i pasti comuni o nel corso di ricorrenze importanti, molti dei vini che troviamo oggi in commercio sono nati durante il Rinascimento, quando molte regioni si sono specializzate nella loro produzione.

Vini rossi

Oggi il processo di trasformazione della vite ha subito una forte regolamentazione, e molti marchi sono stati posti sotto tutele DOC e DOCG, con l’obiettivo di preservare il vino da contaminazioni straniere e garantire standard elevati di produzione. Nonostante la consumazione di questa bevanda coinvolga tutti senza distinzioni sociali, in pochi conoscono le differenze che intercorrono tra vino bianco e vino rosso, a parte qualche basilare regola che riguarda gli abbinamenti a tavola.

Vino rosso e vino bianco a confronto

C’è una convinzione diffusa che è importante sdoganare: il vino bianco non proviene dalle uve bianche, così come quello rosso non viene generato da quelle scure. La colorazione del vino dipende in realtà dalle vinacce, ossia dalla buccia e dalla polpa. Queste parti solide, durante il processo di vinificazione, rilasciano i polifenoli, che a seconda dei tempi di macerazione e in base alla temperatura di fermentazione determinano il colore del vino rosso, che può avere diverse intensità.

Nella preparazione del vino bianco l’uva viene pressata prima della fase di fermentazione, adibita a trasformare gli zuccheri naturali in alcool, in modo tale da rimuovere bucce e altri sedimenti, così da avviare quella che viene chiamata chiarificazione.

Oltre a un diverso metodo di lavorazione, a distinguere i due vini ci pensano i tannini: il vino rosso ha infatti un sapore più forte, dovuto alla loro maggiore presenza, mentre nel vino bianco prevale un gusto fresco e fruttato, perché è predominante l’acido citrico.

Quando si passa all’invecchiamento, il futuro vino bianco viene solitamente posto in contenitori di ghisa, mentre il vino rosso viene maturato in botti di rovere, che grazie alla loro porosità espongono il vino rosso all’ossigeno e lo rendono meno acido. Anche al momento della consumazione ci sono delle differenze sostanziali rispetto a come servire le due bevande: il rosso predilige una temperatura tra i 20-24 gradi, mentre il bianco tra gli 8-14 gradi. Entrambi però possono essere accompagnati da sottobicchieri per vivacizzare la presentazione della tavola.  

Le caratteristiche degli spumanti

Nelle occasioni importanti di solito si apre una bottiglia di spumante, vino che dagli altri si differenzia perché quando si usa l’apribottiglie per rimuovere il tappo si crea una spuma sulla superficie del liquido, dovuta alla presenza di anidride carbonica sviluppatasi durante il processo di fermentazione, che in base alla numerosità delle bollicine, alla loro finezza e persistenza rappresenta uno degli indicatori di qualità per il prodotto. In realtà non si può parlare di distinzioni vere e proprie, perché gli spumanti sono una tipologia di vino a tutti gli effetti, collocati nella legislazione italiana sotto la dicitura di “vini speciali”. Ciò che più di ogni cosa separa gli spumanti dagli altri vini è la metodologia di produzione: i primi vengono fatti fermentare in autoclave, mentre i secondi in botte. Inoltre esiste una linea di demarcazione tra due sistemi tradizionali di realizzazione: il metodo Classico, francese e utilizzato per creare lo champagne, e Charmat, italiano e che non prevede l’aggiunta di sciroppi, ma si avvale degli zuccheri naturali per produrre l’anidride carbonica. Gli spumanti vengono suddivisi in categorie, a seconda dello zucchero residuo rimasto dopo che è avvenuta la presa di spuma.

Uno sguardo sulle tipologie di tappi

La qualità di un buon vino non si vede solo durante la sua lavorazione, ma anche in base al tappo che sigilla la bottiglia. Per rimuoverlo servono dei cavatappi, e ogni set vino che si rispetti ne possiede uno o più. Il materiale ideale per la tappatura è il sughero, impermeabile ed elastico, capace di isolare il vino dagli agenti esterni. Le microporosità presenti su di esso favoriscono un lento scambio di ossigeno, che fa evolvere le qualità organolettiche della bevanda. È ottimale rimuoverlo con un cavatappi in acciaio.
Per gli spumanti è diffusa la tipologia “Spark”, caratterizzata dalla chiusura a fungo e dotata di gabbietta di sicurezza. Per via della conformazione del tappo, si predilige l’apertura a mano. Resistenti allo sgretolamento e sterili, da una venti d’anni i tappi sintetici hanno cominciato a imporre la loro presenza sul mercato del vino, anche se si rivelano funzionali verso i vini da consumare giovani, entro massimo due anni dall’imbottigliamento, come avviene per la maggior parte dei vini bianchi. Allo stesso utilizzo sono destinati i tappi “a macchinetta”, dotati di una bella guarnizione che però rischia di allentarsi nel breve periodo, pertanto possono essere sfruttati se non si intende conservare il vino a lungo.

Tornando agli spumanti, è impossibile veder chiusi quelli prodotti seguendo il metodo classico con tappi in plastica, perché il loro uso è relegato ai vini frizzanti o spumanti di basso prezzo.

Queste varietà di tappi vanno di pari passo con le tipologie di apribottiglie per vini e spumanti disponibili in commercio, tanto che hanno iniziato a comparire anche degli apribottiglie personalizzati su cui realizzare delle incisioni.